Da tempo immemorabile il Mediterraneo Orientale trasmette favole, miti, leggende che riescono a raggiungerci, in quanto suggerite da bocca a orecchio: il ripetersi del gesto, di generazione in generazione, si è rivelato da millenni un valido servizio postale.
I racconti implicano, nei narratori, un modo personale di comprendere e trasferire i concetti all’ascoltatore successivo, originando, lungo il percorso, fantasiose variazioni, con conseguente alterazione dei contenuti.
Risulta, pertanto, difficoltoso ricostruire il veridico svolgimento dei fatti narrati.
Vi è, tuttavia, un elemento comune apparentemente banale che rivela la sua importanza attuale: gli avvenimenti tramandati sono ambientati in luoghi visibili, sulla superficie della terra o sulla cresta delle onde del mare.
Come è noto, le popolazioni più intraprendenti hanno sempre sognato di raggiungere, in qualche modo, il centro della terra, la profondità del mare o la parte misteriosa, divina, del cielo.
Ed ecco… il fantasioso pensatore suggerire di calarsi nel cono di un vulcano arrivando così al centro della terra, inventare un mezzo marino che possa raggiungere la profondità dei mari e, poi, con la necessaria intercessione divina, il regno dei cieli ove si spera sia stato risolto positivamente l’eterno contrasto tra creazione ed evoluzione.
Sopraggiunge il momento in cui le candide vele, gonfiate dall’aria del Meltemi, gradevole e costante vento della zona, lascino la superficie a un altro genere di natanti, costruiti in acciaio, da cui emergono visibili, persino a occhio nudo, bocche da fuoco che possono provocare, anche a distanza, morte e distruzione.
Le navi, che un tempo solcavano il mare Egeo per scopi pacifici, hanno mutato aspetto: si tratta di enormi opifici capaci di raggiungere e
perforare il fondo del mare attraverso potentissimi ritrovati scientifici e meccanici.
La sola notizia dell’esistenza dell’oro liquido o aeriforme, petrolio o gas, nel Mediterraneo Orientale e nell’Egeo, ha scatenato l’interesse – volto al fine di sfruttare questi nuovi giacimenti – di molte potenze mondiali pronte a lottare, con ogni mezzo, per ottenerne il possesso.
Tale attività, considerata molto redditizia, è stata paragonata alla biblica manna caduta dal cielo, benché provenga dal basso, dal fondo del mare.
Una accurata carta geografica delimita il tratto di mare i cui fondali regalano il cosiddetto oro liquido, sempre più quantitativamente necessario per soddisfare le crescenti richieste di energia.
Al momento del tardivo neocolonialismo Italiano in Libia (1911) si disse che esistevano riserve petrolifere nelle sue viscere, ma… non erano state ancora progettate trivelle, idonee al raggiungimento delle stesse.
Al giorno d’oggi, gli appetiti mondiali, riferiti al grande bacino marittimo egeo, corrispondente grosso modo a metà Mare Nostrum, risultano compresi tra la Sicilia orientale, la Tunisia, la Libia, l’Egitto, Gaza, Israele, il Libano, la Siria, l’Asia Minore e la penisola Balcanica meridionale.
Fra le loro coste, esistono centinaia di isole “naturalmente aggrovigliate”, anch’esse in lotta per riservarsi una quantità sempre più vasta di acque cosiddette territoriali.
Tali considerazioni riportano il pensiero alle isole del Dodecaneso, che gli italiani, dopo averle sottratte alla Turchia nel 1912, avevano trasformato in un civilissimo e ridente territorio, mai valutando il loro sfruttamento minerario.
Ma, è bene precisare come in ogni fase della lavorazione di questo prezioso materiale, esista una vasta e consolidata esperienza mondiale.
Raffinate formazioni diplomatiche, politiche, militari oltre agli invisibili ma attivissimi servizi segreti di varie nazioni, unitamente al potere trionfante del denaro, che corrompe e contamina ogni azione umana, hanno
realizzato un inestricabile mondo parallelo di interessi, rancorosi e nascosti, dal quale emergono sovente effetti improvvisi e dirompenti.
Senza tralasciare il fatto che, in passato, alcune potenze militari (ad es. Francia e Inghilterra), si erano adoperate, con semplici tratti di penna, disegnati a tavolino, a spostare confini, a creare Stati spesso inconsistenti fissando i prodromi di controversie politiche e rivendicazioni territoriali.
Alla luce di quanto sopra, risulta, pertanto, estremamente arduo comprendere modifiche unilaterali di un preesistente accordo, sottoscritto da parte di quegli Stati che contemporaneamente si muovono sulla superfice o nelle profondità del mare Egeo, laddove i propositi sono tradotti in realtà ancor prima di essere manifestati.
Un ridente isolotto, difficile da individuare persino su carte geografiche dettagliate, è emerso alle cronache attuali in quanto, nelle sue acque, navi civili e militari si scrutano sospettose, muovendo qualche misterioso passo di valzer per poi scomparire all’orizzonte.
Castelrosso, assurto all’improvviso alla notorietà, simboleggia i problemi che nascono allorché l’intersecantesi di interessi e situazioni, relativi a territori appartenenti a Stati diversi, non trovano reali possibilità di addivenire a un pacifico e redditizio compromesso.
Un resoconto più dettagliato su quello che avviene o avverrà intorno alle acque di Megisti potrà trovare accoglienza in un altro scritto.
RICCARDO COLLARO
* L’immagine rappresenta un elegante costume di Kastellorizo, agognato con incrollabile desiderio, conservato con estrema cura in un angolo della casa e indossato esclusivamente in circostanze eccezionali. Il passaggio del costume di madre in figlia assume i contorni di una cerimonia, di un rituale volto a esaltare non solo la preziosità dell’abito stesso, ma soprattutto i simboli di una etnia.